Storia dell'Arciconfraternita
Origine del culto carmelitano a Sansevero
Nell’antico largo del Mercato, a ridosso delle mura cittadine, sorgeva dal tardo Medioevo la chiesa di santa Croce, detta appunto «al Mercato», sotto la giurisdizione dell’arcipretura di San Severino, prima parrocchia e matrice della città di Sansevero. Il sacro edificio, forse in cattive condizioni e mai ristrutturato, appariva ancora nei primi anni del Seicento molto vetusto, anzi il più vetusto della città, generando così l’opinione che questa chiesa fosse la prima fondata in Sansevero. Il cronachista secentesco Antonio Lucchino, infatti, scrive: «Nel luogo detto il Mercato è la Chiesa di Santa Croce, la quale per tradizione si tiene che fusse la prima edificata subito, che [la città] prese la Santa Fede di Cristo Nostro Signore, giacché si vede essere la più antica dell’altre», considerandola addirittura prima parrocchia e matrice, rango che sarebbe poi stato trasferito alla chiesa del patrono san Severino.
Dopo il terremoto del 30 luglio 1627, che ridusse la chiesa di santa Croce a una rovina, alcuni frati carmelitani si insediarono presso il malridotto tempio, occupando i pochi locali attigui. Ciò accadeva nel 1648, perché in quell’anno il vescovo di Sansevero, mons. Francesco Antonio Sacchetti, aveva chiamato quale organista della cattedrale il carmelitano padre Roberto del convento di Napoli, appunto concedendo a lui e a suo nipote fra Pietro di occupare quel che restava di Santa Croce al Mercato. Ai due si associarono presto pochi altri frati. La piccola comunità edificò nella chiesa una cappella dedicata alla Beata Vergine del Monte Carmelo, in cui fu esposto un dipinto ad olio su tela riproducente, in versione moderna, l’icona della Madonna Bruna del Carmine Maggiore di Napoli. Prese avvio, allora, la devozione dei sanseveresi per la Madonna del Carmine, destinata a diventare in breve tempo uno dei maggiori culti mariani della città.
Nel 1652 papa Innocenzo X soppresse i piccoli conventi, e tra questi anche quello, di recentissima fondazione, dei carmelitani, che furono dunque costretti a lasciare Sansevero. Abbandonata dai frati, la chiesa, già ridotta in pessimo stato dal sisma, col tempo divenne fatiscente a tal punto che il vescovo mons. Carlo Felice de Matta, visitatala, la trovò non idonea alle celebrazioni e addirittura da abbattere.
Correva l’anno 1681, e il 5 maggio i «Confrati della Chiesa di Santa Croce al Mercato», membri di una prestigiosa confraternita esistente da tempo e allora retta dal priore Giuseppe Di Maso, chiesero e ottennero dal vescovo di farsi assegnare il tempio per poterlo riparare, «per esser la predetta Chiesa assai devota per la devozione della Beatissima Vergine del Carmine».
Fondazione della confraternita del Carmine (o degli artisti o di santa Lucia)
Appena tre anni dopo, un altro gruppo di venticinque fedeli laici, «Civium artificum huius Civitatis Sancti Severi», che si riuniva con fervida devozione nella stessa chiesa di santa Croce per pregare la Beata Vergine Maria, fu costituito in una nuova confraternita, ovviamente di ispirazione mariana. Ne furono fondatori Carlo Antonio Rosa, Paolo Caputi, Angelo de Mucci, Bartolomeo Giarnieri, Francesco Salcito, Donato Maria de Lucretiis, Antonio Sammarco, Filippo Cocca, Giuseppe Presutto, Francesco Aceto, Giovanni Antonio Facciolla, Giuseppe Mugnolo, Giovanni Mugnolo, Giovanni Antonacci, Savino Antonacci, Domenico Parlante, Domenico Azzurro, Giuseppe dell’Arso, Giuseppe di Domenico, Francesco de Mauro, Giuseppe Zampino, Giuseppe Palumbo, Biagio Lavera, Giuseppe Greco e Giuseppe Cardogna. Il decreto di erezione canonica, firmato da mons. de Matta, è datato 23 marzo 1684. Nel documento che sancisce la nascita dell’odierna Arciconfraternita del Carmine non se ne specifica la denominazione: «in Ecclesia S. Crucis Conventus suppressi olim fratrum Carmelitarum, unam Confraternitatem personarum secularium cum sacco, seu tunica, et cappuccio, et cum facultate se ut supra in eadem Ecclesia congregandi» ecc. Non si parla del colore della mozzetta (qui chiamata «cappuccio», ossia 'piccola cappa'), che tuttavia già nel primo Settecento è attestato «di color carmelitano», ossia marrone, così come il cingolo, di cui peraltro non si fa menzione.
Negli Statuti di San Severino del 1716 il clero parrocchiale dichiara esistenti nella chiesa di santa Croce, «oggi detta del Carmine», due distinte confraternite: la prima era la «Confraternita de’ laici, antiquitus eretta», con mozzetta rossa, che godeva «le precedenze sopra tutte le altre Confraternite»; la seconda era la nostra, identificata come «Confraternita laicale dell’Artisti, eretta con autorità Vescovile».
Non avendo avuta alcuna definita denominazione nel decreto di erezione, il sodalizio mariano ebbe titoli alquanto variabili durante i primi anni di attività. In particolare, fu denominato sia «del Carmine» sia «di santa Lucia», oltre che «degli artisti», giusta la suindicata qualifica dei fondatori, «Civium artificum», ossia 'cittadini artigiani'. È evidente la derivazione sia del primo sia dell’ultimo titolo, mentre pare costituire un problema quello «di santa Lucia», che ha generato tra gli studiosi vecchi e nuovi – complici le rubriche talvolta approssimative degli archivi ecclesiastici – qualche imbarazzo, ispirando addirittura l’ipotesi dell’esistenza di due confraternite diverse quasi contemporanee, una di santa Lucia (cui si è attribuito il decreto di de Matta) e una del Carmine (che si è ritenuta finanche mai eretta). La spiegazione più lineare la forniscono proprio i documenti dei primi anni di vita del sodalizio che, per inciso, finì ben presto per assorbire quello più antico e prestigioso della santa Croce che, ancora esistente – come si è visto – nel 1716, di lì a poco scomparve. Nei primi documenti relativi all’attuale sodalizio, infatti, si parla di «Congregatione della Chiesa della Madonna del Carmine, noviter erecta» (5 luglio 1686), «Chiesa, e Congregazione del Carmine» e «Congregazione della Madonna del Carmine» (13 dicembre 1700), «Confratres Confraternitate del Carmine, erectae in Ecclesia Sanctae Crucis», «Confratres dictae Ecclesiae», ossia «Sanctae Mariae de Monte Carmelo», o «Carmelita Ecclesia», o «Montis Carmeli», o più precisamente «sub eodem titulo Sanctae Crucis, sicut ab antiquo vocata fuit dicta Carmelita Ecclesia, et vocatur hodie similiter, manendo in illa etiam Confraternitas sub tali nomine», esistendo cioè in essa due confraternite, quella antica appunto di santa Croce e quella «dicta Carmelita sub alio Sanctae Luciae Almae Urbis», ossia quella carmelitana sotto l’altro di santa Lucia dell’alma Roma (8 agosto 1702). Già nel 1700, in effetti, santa Lucia vergine e martire risulta solennemente festeggiata dalla confraternita, scatenando per giunta liti col clero parrocchiale. In un documento del 1701 si legge che «Nell’anno poi 1684, dal quondam Monsignor Matta Vescovo di essa Città, absque consensu Cleri, Confratruum eiusdem Ecclesiae, [la chiesa] fu concessa all’hodierni fratelli sotto il titolo di S. Lucia di Roma». In un altro dell’anno seguente si dice, più chiaramente: «col’ titolo de’ Confratelli del Carmine arrolati sotto il Confalone di Santa Lucia di Roma», e ancora, sempre distinguendoli dagli antichi confratelli di Santa Croce, quelli che «si chiamano del Gonfalone di S. Lucia, arrolati à Carmelisti», di modo che «si trovano oggi due Confraternite, cioè l’antichissima di S. Croce, e l’attuale di S. Lucia da 15 anni in circa à questa parte».
Insomma, la «Confraternita di S. Lucia, o sia del Carmine», sodalizio degli artisti, è così denominata a causa della sua aggregazione all’arciconfraternita romana del Gonfalone in Santa Lucia (diploma del 20 settembre 1684), dei cui privilegi essa cercò illegittimamente di farsi scudo, nei primi anni, contro i diritti del clero parrocchiale sulla chiesa confraternale («che vogliano godere le prerogative simili al Confalone di S. Lucia di Roma»), ottenendo comunque numerose nuove adesioni in virtù delle grazie spirituali assegnate. Infatti, nello stesso documento si legge: «Solo Mons. Matta sudetto, promettendono alcuni di questi novelli fratelli fare qualche miglioramento in essa Chiesa, che come antica era priva di tonica e di soffitto, concedè senza pregiudicio dell’antica, la novella ancora, e unitamente a questi per lucrare l’indulgenze, ottenendo da Roma l’unione di detto Confalone di S. Lucia. A’ tal’ annuncio concorsero una quantità di Cittadini, tutti ignari anco del leggere e scrivere, e si ascrissero sotto tal’ novella associatione, e si vidde una pienezza numerosa di fratelli, che sin’ ora saranno da cento, e più». Ciò spiega perché in alcuni documenti il titolo di santa Lucia precede quello del Carmine (come nel rescritto della Segnatura Apostolica del 1703: «Venerabilis Confraternitatis S. Luciae, seu Beatissimae Mariae Virginis de Monte Carmelo»; e nel breve di papa Clemente XI del 1704: «Confraternitatis sub invocatione S. Luciae, seu eius B. M. Virginis de Monte Carmelo»), ma la denominazione più corretta del sodalizio è certo quella che si legge in un documento del 1705: «Congregazione del Carmine, aggregata a quella di S. Lucia di Roma, sotto il titolo del Confalone»; nel medesimo anno gli stessi confratelli si definiscono «della Venerabile Congregazione del Carmine sotto il titolo di Santa Lucia, sotto il Confalone di Roma». Quando, passati pochi anni, l’aggregazione all’arciconfraternita romana non ebbe più una funzione ‘difensiva’ e propagandistica, essa non fu più ostentata, e il titolo del sodalizio, che comunque continuò a venerare e festeggiare la gloriosa martire siracusana, si fissò nella forma più giusta e corretta: Confraternita del Carmine, ossia Congregazione di Santa Maria del Carmine. Più o meno lo stesso accadde, sia detto per inciso, anche per la coeva congregazione dei massari del Soccorso, aggregata all’arciconfraternita romana della Santissima Natività di Nostro Signore Gesù Cristo degli Agonizzanti, e dunque detta per qualche tempo anche «degli Agonizzanti».
Attività della confraternita
Oltre a promuovere il culto e la devozione della Beata Vergine del Carmine e di santa Lucia, titolare dell’arciconfraternita romana cui era aggregata, la confraternita si occupò della ricostruzione della chiesa di santa Croce, che nel corso del Settecento prese definitivamente il nome di chiesa del Carmine, curandone la decorazione e impreziosendola con sculture e dipinti, altari e pregiata suppellettile.
In questi anni il sodalizio vide crescere notevolmente il proprio patrimonio materiale, diventando una delle più ricche congreghe cittadine. Nel Catasto onciario del 1753, tra l'altro, la confraternita del Carmine dichiarò un avanzo di rendite di ben 235,00 ducati, mentre quella del Soccorso seguiva con 35,02 ducati e le altre non dichiararono alcun avanzo.
Il 16 maggio 1777, essendo prefetto del sodalizio Simone Giarnieri, re Ferdinando approvò lo Statuto della confraternita e le concesse il regio assenso. Nel 1790, sotto il priorato di Giovanni Greco, il venerato dipinto della Madonna Bruna fu sostituito da una scultura lignea policromata a tutto tondo della Beata Vergine del Carmelo, opera commissionata dalla confraternita ai fratelli Michele e Gennaro Trillocco che, a quanto pare, la realizzarono su bozzetto del loro maestro, il celeberrimo scultore napoletano Giuseppe Sanmartino. Per ospitare la splendida scultura, l’elegante trono marmoreo realizzato per il quadro qualche anno prima (1786-87) dal marmoraro partenopeo Michele Salemme fu abilmente modificato, presumibilmente dal suo stesso artefice.
Nel primo Ottocento, per meglio solennizzare la festa della Vergine del Carmine, la confraternita introdusse la consuetudine della trionfale processione di luglio, inizialmente colla sola statua della Madonna, poi anche con quelle di altri santi, quindi dei soli santa Teresa d’Avila e san Simone Stock. La processione, massimo momento di evidenza cittadina per il sodalizio, fu arricchita nel tempo di preziosi arredi processionali, tra i quali: il grande gonfalone della confraternita, in seta ricamata d’oro, col bassorilievo argenteo riproducente la statua della Vergine; le otto lanterne in metallo sbalzato con protromi angeliche; il grandioso baldacchino a otto aste piumate, il più ricco della città, incrostato di ricami d’oro su lama d’argento, su cui spiccano gli stemmi del sodalizio. Negli anni i festeggiamenti del Carmine divennero secondi solo a quelli in onore della Madonna del Soccorso, patrona della città e della diocesi.
Il 23 giugno 1853 il clero della Collegiata di San Giovanni Battista, una delle quattro arcipreture della città, si aggregò in perpetuo alla confraternita, obbligandosi a intervenire alla solenne processione annuale della Madonna.
Il 3 marzo 1874 la confraternita fu elevata ad arciconfraternita con decreto di papa Pio IX.
Oltre a continuare a curare il tempio carmelitano, il sodalizio operò proficuamente soprattutto in campo spirituale, con attività caritative, formando i confratelli e le consorelle, assicurando loro sepoltura e suffragi (e costruendo tre grandi cappelle funerarie nel locale cimitero).
Nel 1888, facendo proprio il desiderio del padre carmelitano Deodato Prato, l’arciconfraternita volle impiantare presso la chiesa confraternale il Terz’Ordine Carmelitano, per il quale si ebbe la definitiva approvazione il 6 gennaio 1890.