Estumulazioni Seconda Tomba
Grazie alla città!
Anche la festa del Carmine del 2024 è conclusa, e nel migliore dei modi, con tanti e tante fedeli che, come sempre, si sono stretti intorno alla Vergine Maria, Madre e Decoro del Carmelo.
Senza dubbio, questa festa sarà ricordata soprattutto per l'introduzione dell'uso di una copia del simulacro settecentesco della Madonna, fatta realizzare per tutelare il capolavoro ligneo sanmartiniano dei fratelli Trillocco (Napoli, 1790), un manufatto delicatissimo che non può più subire i traumi e il logorio degli spostamenti e delle processioni, sollecitazioni esterne che lo stavano deteriorando irrimediabilmente. La copia, più leggera, ha anche il pregio di alleviare le fatiche dei portatori nel caldo torrido di luglio.
Non si deve tacere, comunque, che l'organizzazione, anno dopo anno, diventa sempre più difficile in merito alle tradizionali batterie, per le quali occorre urgentemente trovare soluzioni che tengano conto dello status di bene culturale immateriale delle nostre feste storiche, come recentemente auspicato anche dalla Sindaca e dall'Amministrazione Comunale. Ci scusiamo, a ogni modo, per l'annullamento dei fuochi serali e dell'incendio del campanile, previsti nel programma civile ma non autorizzati dalle autorità competenti.
Ringraziando Dio, resta immutata la fede e la devozione del nostro popolo, che non solo ha riempita la chiesa del Carmine nei giorni del novenario e della solennità della Vergine il 16 luglio, ha gremito largo Carmine per il Pontificale del Vescovo il 15 luglio e si è riversato numerosissimo nelle strade in occasione della Processione, ma ha anche dimostrata, in stragrande maggioranza, una sensibilità e una matura consapevolezza di fronte all'impiego della copia del simulacro della Madonna.
A chiusura dei festeggiamenti, è sbocciato come sempre, ai piedi del simulacro di Maria Santissima, il giardino delle offerte floreali che, copiose, sono giunte nel giorno della solennità della Vergine, uno dei segni dell'amore filiale della nostra città per la Santa Madre di Dio. Viva Maria!
Il Consiglio di Amministrazione dell'Arciconfraternita del Carmine ringrazia sentitamente:
- S.E. rev.ma Mons. Giuseppe Mengoli, nostro vescovo;
- don Quirino Faienza, nostro parroco e cappellano del sodalizio;
- don Amedeo Cristino e don Gaetano Sebastiano Tomagra, predicatori del novenario;
- i sacerdoti don Giovanni Marsilio, nostro confratello, don Matteo Pensato e padre Antonio Tartaglia;
- il diacono don Alfonso Marchitto;
- i confratelli e le consorelle del Carmine, in special modo chi si è prodigato e si prodiga per le celebrazioni di luglio;
- il Terz’Ordine Carmelitano, che coll’Arciconfraternita compone la Famiglia Carmelitana della nostra città;
- la Dirigente Capo di Pubblica Sicurezza dott.ssa Lorena Cicciotti e i suoi collaboratori, in particolare il dott. Silvano Sciarra;
- l’Arma dei Carabinieri e l’Associazione Nazionale Carabinieri;
- la Sindaca prof.ssa Lidya Colangelo e l’Amministrazione Comunale;
- le autorità militari;
- i membri del Comitato Festa;
- la Cappella Musicale Severiniana;
- l’Associazione Pro Civitate, il pirotecnico Altrui e gli organizzatori degli spettacoli e delle batterie rionali;
- i sostenitori, gli sponsor e tutti coloro i quali hanno contribuito e collaborato, a qualsivoglia titolo, alla buona riuscita dei festeggiamenti in onore della Madonna del Carmine.
Una copia per amore
Sansevero, 17 luglio 2024
Ci sono decisioni non semplici, che richiedono una lunga meditazione e un calcolo attento e cauto di tutti i pro e i contro che la scelta comporta. Tra i tesori del patrimonio dell’Arciconfraternita del Carmine è senza dubbio il più importante e il più caro il superbo simulacro della patrona del sodalizio, ideato da Giuseppe Sanmartino e realizzato in legno da Michele e Gennaro Trillocco nel 1790. Già le precedenti amministrazioni dell’Arciconfraternita, che tra l’altro hanno avuto il merito di far sottoporre a restauro l’effigie nel 2002, avevano riflettuto sull’opportunità di preservare questo commovente capolavoro della scultura napoletana, sollecitate anche dai funzionari della Soprintendenza, comprensibilmente preoccupati per la conservazione di un bene di tale valore: si pensò, dunque, alla realizzazione di una copia, soluzione propiziata dalle nuove tecnologie digitali, in grado di replicare al millimetro le opere d’arte, confortati anche dal regolare uso di riproduzioni in santuari e in varie località, per esempio a Loreto (Santa Casa), a Conflenti (Madonna della Quercia) e a Teramo (Madonna delle Grazie), ma anche nelle vicine Rodi Garganico (Madonna della Libera), Foggia (Sant’Anna) e Manfredonia (Madonna di Siponto).
L’attuale amministrazione ha raccolte queste intenzioni e le ha fatte proprie, consapevole di tutte le criticità che l’uso di un’effigie come quella della Vergine del Carmelo implica. Ne elenchiamo alcune:
- il peso straordinario del manufatto, che supera abbondantemente i due quintali, e rende gli spostamenti e il trasporto processionale complessi e pericolosi, sia per l’oggetto sia per le persone addette all’operazione, tanto più nel caldo torrido di luglio;
- la delicatezza del legno e soprattutto dei pigmenti colorati, in gran parte originali e protetti solo da uno strato sottilissimo di vernice, che rende devastante il contatto, anche con tutte le accortezze del caso (guanti in stoffa e in lattice, impalcature ad hoc ecc.), quando la scultura viene spostata dalla nicchia al piano, dal piano all’addobbo, dall’addobbo al piano, quindi sulla pedana, e poi, finita la festa, dalla pedana al piano e su fino alla nicchia, danneggiando le superfici al tatto ma anche col sudore (che, nel caldo di luglio e colla fatica e il nervosismo legati alla delicata operazione, oltrepassa qualsiasi stoffa protettiva e fa rompere il lattice dei guanti, per tacere del fatto che proprio i guanti rendono scivolosa la presa);
- l’esposizione della scultura a polvere, deiezioni di insetti, fumi di batteria, sbalzi termici e livelli di umidità molto elevati, che generano distacchi, rigonfiamenti del legno, crepe, macchie;
- il rischio, durante la processione, di danni derivanti dalla vicinanza delle batterie pirotecniche, come pure dalle scintille dei fuochi in aria sparati dalle case al passaggio del sacro corteo, oltre allo sparo di coriandoli a pressione direttamente sulla statua.
Ogni anno l’effigie è stata attentamente monitorata, e ogni anno abbiamo registrati nuovi danni: fessure, cadute di colore, macchie… insomma, uno stillicidio continuo cui non si può porre rimedio, se non ricorrendo continuamente al restauratore, col rischio che, nel giro di qualche decina di anni, del colore originario resti ben poco.
La statua della Madonna del Carmine è un capolavoro notorio, studiato e pubblicato, della cui importanza i confratelli carmelitani sono sempre stati consapevoli. Per secoli hanno fatta ogni cosa per preservarla, proteggerla, salvaguardarla e, nonostante i rischi che ogni anno si sono vissuti, sono riusciti, con amore e infinita accortezza, a evitare il peggio. Ma gli anni passano, l’opera diventa sempre più antica e fragile, e lo scrupoloso restauro del 2002, rimuovendo tutte le ridipinture posticce, ha riportata alla luce la delicatissima incantevole bellezza di un’opera irripetibile, tra i vertici dell’arte scultorea in legno del Mezzogiorno d’Italia nel Settecento. Si può facilmente immaginare lo sbalordimento, per non dire lo sconcerto, degli storici dell’arte nel vederla in processione e, per giunta, a pochi metri dalle esplosioni delle batterie, avvolta dal denso fumo degli spari: ci hanno definiti pazzi, scriteriati.
Si diceva che ci sono decisioni non semplici: quella di realizzare una riproduzione di una scultura tanto amata e cara ai sanseveresi (e non solo) è stata difficilissima. Ma ci ha guidato il senso di responsabilità trasmessoci da chi ci ha preceduto, la cura devota riservata a questa «cospicua opera di bellezza e che rivela il sentimento di un artista acceso da ideali visioni paradisiache» (lo scrivevano gli ufficiali dell’Arciconfraternita sul programma della festa nel 1910), cura che, a questo punto, deve continuare con una premura diversa, estrema, evitandole del tutto traumi e logorio, impedendo che sia ancora soggetta a sollecitazioni esterne che la deteriorerebbero irrimediabilmente.
Ci ha convinto anche l’abitudine antica e mai venuta meno delle piccole riproduzioni domestiche della nostra statua, tradizione che dimostra l’attaccamento all’immagine, sì, ma senza idolatria: amore per la Vergine riconosciuta in un simulacro tale da commuovere, e che si vuole anche in casa, in terracotta o, più recentemente, in resina, perché la Madonna è ovviamente in cielo, non di certo in una statua, alla quale ci rivolgiamo pensando a Lei, nella gloria del Paradiso, non a quel blocco di legno inanimato, per quanto meravigliosamente bello, che ricorda le parole di Geremia (10, 3): «non è che un legno tagliato nel bosco, / opera delle mani di un intagliatore». Originale o copia, un’effigie ha scopo catechetico, simbolico, trascrivendo il messaggio della Redenzione, invita alla preghiera. I cristiani non venerano l’immagine in sé stessa, che è solo un oggetto materiale (se si venerasse l’oggetto, si cadrebbe nell’idolatria), ma chi l’immagine intende rappresentare, nel nostro caso Cristo e la Beata Vergine. Come dice san Tommaso d’Aquino nella Summa: «Gli atti di culto non sono rivolti alle immagini considerate in sé stesse, ma in quanto servono a raffigurare il Dio incarnato. Ora, il moto che si volge all’immagine in quanto immagine, non si ferma su di essa, ma tende alla realtà che essa rappresenta». E san Basilio Magno nel Liber de Spiritu Sancto: «l’onore reso a un’immagine appartiene a chi vi è rappresentato» e «chi venera l’immagine venera la realtà che in essa è riprodotta».
Quattro anni di lavoro, miglioramenti, correzioni e sistemazione di dettagli accuratamente definiti hanno prodotta la copia della scultura settecentesca della Madonna del Carmine, con tre sole differenze: il materiale (non è in legno ma in resina, infinitamente più leggera e resistente), il colore del manto e della veste (più carichi tenendo conto della colorazione iniziale della scultura, come emersa dai saggi durante il restauro del 2002) e la verniciatura (più lucida rispetto a quella odierna del simulacro originale, che dopo il restauro col tempo si è attutita e opacizzata). Si sarebbe potuto ottenere un risultato ancora più ‘identico’ all’originale optando per i colori più spenti cui siamo abituati e per una vernice meno brillante, ma si è comunque deciso di differenziare leggermente le due statue.
Perché, ci si chiederà, non si è informata prima la cittadinanza. Anche questa è stata una decisione difficile, ma ci siamo interrogati a lungo sulle conseguenze di un annuncio preventivo: con ogni probabilità ci sarebbe stata in alcuni, se non in molti, una certa prevenzione, una predisposizione sfavorevole, un pregiudizio ‘di pancia’, che non avrebbe permessa una serena valutazione della riproduzione e delle sue motivazioni. Abbiamo dunque concordato di notiziare solo dopo i festeggiamenti (informando comunque anticipatamente la stampa) e di non dire nulla prima, ma di non negare qualora qualcuno, accorgendosi dei colori e della vernice più lucida, avesse chiesto di persona un chiarimento (evitando dunque avalli sui social, in qualsiasi forma, per timore di strumentalizzazioni e diffusione scorretta). E così si è fatto. Non molti, a dir il vero, si sono accorti della differenza, e tra questi quei pochi che, in passato, erano stati messi a parte della realizzazione della riproduzione. A conferma dei timori sui preconcetti, non sono mancate le lamentele di alcuni, informati da qualche indiscreto, e che probabilmente non si sarebbero neppure accorti che si trattava di una replica. Ribadiamo, a ogni modo, che non c’è stata alcuna volontà di ingannare la popolazione, ma se qualcuno si fosse sentito offeso dalla nostra cautela sappia che ce ne scusiamo, perché rispettiamo le sensibilità di tutti e tutte. Purtroppo, una situazione così delicata non può avere mai uno sviluppo univoco.
Ci sarà chi parlerà di violenza sulla tradizione, di legame sentimentale con quel legno scolpito (magari dicendo anche che quella statua ha visto [sic!] tante preghiere e lacrime e sorrisi e speranze e dolori, dimenticando che non sono le statue a vedere ma la Vergine Santa, a prescindere da questo o quel simulacro, da come sia fatto, se di gesso o di legno o di plastica, e se sia bello o brutto, di valore o meno…), ci sarà forse, tra i portatori, chi rimpiangerà la sofferenza generata da quel peso sulle spalle durante la processione (ma in questo caso potremmo rimediare con qualche sacco di cemento nella pedana…), e ci saranno tanti pensieri che, liberamente, correranno qua e là, segno, comunque sia, di un attaccamento intenso, di un grande affetto devoto, di un senso di riconoscimento forte e vivo. E questo non può che fare piacere. Ma come il medico, per salvare una vita, deve talvolta costringere al riposo forzato, così, in questo caso, siamo fermamente convinti che sia stato un bene ricorrere a una ‘controfigura’ che si accolli i pericoli, i rischi, i traumi e lo stress della festa di luglio. È un bene per quell’opera d’arte che è anche e soprattutto un simbolo di fede e devozione che è nel cuore di tanti e tante, e che merita di essere conservata con ancor più coscienza e scrupolo per giungere intatta, integra e vera alle generazioni future, affinché se ne innamorino come noi e chi ci ha preceduto, fin da quando, nel 1790, giunse a Sansevero, incantando gente non solo nel circondario ma anche nelle regioni vicine, dove infatti sono presenti numerose di quelle statuette in terracotta cui si è accennato (una è stata segnalata, di recente, addirittura in un monastero di Tolentino, nelle Marche). La statua della Madonna del Carmine non è una statua come tutte le altre: non si può dire che, se si rompe, se ne fa una nuova. Resterà dunque sempre nella sua nicchia, esposta alla venerazione tutto l’anno (e sorvegliata periodicamente per monitorarne lo stato di conservazione) e lascerà che la sua ‘gemella’ giovane e robusta faccia il ‘lavoro pesante’ della festa di luglio. Non ci sarà rischio di confusione: una, s’è detto, continuerà a stare nel suo trono marmoreo in chiesa, l’altra tutto l’anno nella sacrestia nuova, ossia il salone del sodalizio.
Non si può tacere, infine, che qualcuno ha usato il termine ‘falso’ per la riproduzione. Nel 2005 Benedetto XVI ha detto: «Immagine e parola s’illuminano così a vicenda. L’arte “parla” sempre, almeno implicitamente, del divino, della bellezza infinita di Dio, riflessa nell’Icona per eccellenza: Cristo Signore, Immagine del Dio invisibile. Le immagini sacre, con la loro bellezza, sono anch’esse annuncio evangelico ed esprimono lo splendore della verità cattolica, mostrando la suprema armonia tra il buono e il bello, tra la via veritatis e la via pulchritudinis. Mentre testimoniano la secolare e feconda tradizione dell’arte cristiana, sollecitano tutti, credenti e non, alla scoperta e alla contemplazione del fascino inesauribile del mistero della Redenzione, dando sempre nuovo impulso al vivace processo della sua inculturazione nel tempo». Insomma, la pulchritudo, la bellezza delle immagini, rimanda alla veritas, l’unica verità che conta, quella del Vangelo. Per la Chiesa, dunque, non c’è alcuna falsità nella replica di un’immagine sacra che ne conserva intatta la bellezza e il suo rimando al Vero, a Cristo. Pensare a una statua vera e a una falsa è una tentazione che può scivolare pericolosamente nell’idolatria. Vogliamo credere che la nostra comunità cristiana e, in modo particolare, coloro che hanno ruoli di responsabilità ecclesiale non siano affetti da questo male.
Il Consiglio di Amministrazione